Selvaggia Lucarelli difende la famiglia Ciontoli: “Contro l’odio collettivo”

di redazione

Selvaggia Lucarelli difende la famiglia Ciontoli: “Contro l’odio collettivo”

| lunedì 13 Maggio 2019 - 18:36

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Selvaggia Lucarelli difende la famiglia Ciontoli: “Contro l’odio collettivo”

Un articolo che l’opinionista Selvaggia Lucarelli ha scritto per il Fatto Quotidiano oltre a fare da sponda ai Ciontoli attacca Le Iene e i testimoni che Giulio Golia ha scovato. Questo il testo: “Sono cosciente del fatto che il momento storico non permetta di dire nulla di diverso da “I Ciontoli devono bruciare all’inferno” senza essere travolti dalla ferocia del popolo, ma non pratico sport pericolosi nella vita, questa è la mia sfida con l’estremo.​
E vorrei che fosse chiaro- questa è l’impresa più difficile- che nulla di quello che penso esclude la mia vicinanza a Marina, la mamma del povero Marco. Lei e suo marito vivono una tragedia senza fine, nessuno lo dimentica. Quello che più o meno tutti vogliono dimenticare è che ci sia un’altra tragedia che si svolge parallelamente a quella dei Vannini, ed è quella della famiglia Ciontoli. La sola affermazione è intollerabile. L’idea che se la meritino, impedisce qualunque tipo di ragionamento che includa questioni di diritto e di umanità. 
La verità è che Marco Vannini è morto, è una vita che è stata spezzata da una scelleratezza cinica, imperdonabile. I Ciontoli sono vivi, tutti quanti, ma in una condizione di morte sociale non troppo distante dalla morte vera. Vivono, ma nel disprezzo e nella riprovazione, appestati, nascosti come topi, giudicati da un tribunale mediatico che non sospende l’udienza da quattro interminabili anni.

Antonio Ciontoli, sua moglie Maria, i figli Federico e Martina sono i protagonisti di uno degli accanimenti mediatici più feroci della storia italiana. E non basta liquidare il tutto con un banale “Hanno ucciso un ragazzo di 20 anni”, perché anche senza voler stilare una classifica delle brutalità, è evidente che siano accaduti fatti più efferati, omicidi pianificati e mattanze atroci, eppure nessuno dei colpevoli è mai stato oggetto di un odio così collettivo, ostinato e brutale come quello riservato alla famiglia Ciontoli. 
Una famiglia sparpagliata, i cui membri vivono in varie località, tutte segrete, come i testimoni di mafia. Una famiglia minacciata, insultata, perseguitata dall’odio sui social, dalle tv, dai giornali. Impossibilitata anche ad uscire di casa per fare la spesa, perché qualsiasi gesto di normalità è interpretato come un affronto al dolore altrui, alla legge, al tribunale popolare.

Martina, che ha frequentato il corso infermieristico, ha dato un esame e si è raccontato che abbia chiesto un buon voto in virtù della tragedia vissuta (fatto mai provato). Ha lavorato in due ospedali ma è stata licenziata perché c’erano le telecamere ad aspettarla fuori. Su change. org c’è un petizione per radiarla dall’Ordine degli infermieri con 55 000 firme, come se la volontà popolare potesse decidere l’idoneità a praticare una professione. Qualcuno ha pubblicato una foto col suo nuovo fidanzato e questa ha fatto il giro dei media, accompagnata da insulti perché una ragazza di 20 anni osa rifarsi una vita. In più, senza alcuna prova, ad intermittenza viene accusata di aver sparato lei a Marco per gelosia.

Suo fratello Federico, poco più di 20 anni anche lui, vive un’esistenza simile, rintanato, abulico, sottoposto a uno stalking mediatico infinito, tacciato anche lui, a seconda della narrazione del momento, di aver ammazzato Marco. Dei Ciontoli padre e madre non c’è traccia. E’ come se non esistessero più fuori da quel fatto, dai giudizi, dai salotti tv. Chi tenta di raccontare le loro responsabilità senza dietrologie e giudizi, fa la fine del monatto, autorizzato a toccarli, ma appestato a sua volta.

Basti pensare alla valanga d’odio che si è riversata sulla conduttrice di “Un giorno in pretura” Roberta Petrelluzzi, una che da decenni racconta i processi con rigore e che per aver scritto “Cara Martina Ciontoli, ti vogliamo far sapere che siamo in disaccordo con questo accanimento mediatico. E’ un segno dei miseri tempi che stiamo vivendo, dove l’odio e il rancore prendono il sopravvento su qualsiasi altro sentimento. (…)”, è stata investita da una valanga di insulti. Chiunque non odi i Ciontoli è dalla loro parte, è uno schifoso, un infame. Ma soprattutto, è contro i Vannini, come se qualcuno potesse non capire il dolore dei genitori di Marco o “tifare” per chi lo ha ucciso, come in un’arena quando si applaude al torero.

A tutto questo si aggiunge il branco famelico di certi giornalisti (e non) di cronaca che sul caso Ciontoli, stanno facendo un’autentica macelleria mediatica. Il caso tira, appassiona, fomenta, fa ascolti e il risultato è che qualunque suggestione diventa materiale per nuove ricostruzioni e accuse. Certo, il fatto che sullo sparo Ciontoli abbia mentito, che ci siano state delle frasi di Martina poco chiare, che tutti i familiari abbiano le colpe sciagurate che conosciamo e che il maresciallo Izzo risulti poco credibile, hanno dato una bella mano al complottismo, ma l’esame delle polveri da sparo è chiaro. Ha sparato Ciontoli, perché è l’unico ad avere polvere da sparo nelle narici e in quantità tali da non lasciare spazio a dubbi. Che lui quella sera fosse fuori casa, salvo colpi di scena fantascientifici, è una teoria senza fondamento.Il valzer dei colpevoli poi, è uno strazio senza fine. Negli stessi programmi, sulle stesse copertine di giornali tipo “Giallo”, a cadenza regolare si ipotizzano scenari completamente diversi. Un giorno Ciontoli copre Martina, un giorno Ciontoli copre Federico, un giorno c’era stata una lite violenta in casa, un giorno no, in casa Ciontoli non c’era, un giorno in bagno c’erano Martina e Ciontoli, un giorno non erano più in bagno. Il tutto, a seconda della tesi e del testimone del momento. Le intercettazioni ambientali in cui i Ciontoli parlano dell’accaduto sono genuine se servono a supportare una tesi, “sapevano di essere intercettati” se quello che dicono smonta la tesi. 
I testimoni poi, lasciano sconcertati. Giulio Golia ha intervistato una vicina di casa dei Ciontoli che sostiene che i Ciontoli siano tutti matti e che quella sera probabilmente il padre non era a casa perché “non ha sentito la voce”, un testimone la cui attendibilità va dimostrata dice che Ciontoli “forse dormiva sotto o boh!” e “Izzo mi ha detto che ha sparato Federico”, una testimone ha incontrato una tizia sconosciuta su un treno per Ladispoli anni fa che le ha detto “Ciontoli quella sera era fuori a cena da amici”. “Se fosse così sarebbe una circostanza clamorosa”, dice Golia a più riprese. Già, ma così cosa? E soprattutto, questi testimoni sono mossi da un tale, profondo senso di giustizia che non vanno a parlare con un magistrato e senza clamore, no, si svegliano dopo 4 anni e vanno in tv. Del resto, il metodo di queste inchieste non è raccogliere testimonianze, verificare e poi disegnare un quadro. No, è mandare in onda mano mano che si trova qualcosa, pubblicare, e poi vedere chi aveva ragione e chi no. Nel frattempo, ci sono due ragazzi di 20 anni che tutti i giorni si svegliano sapendo che potrebbero essere un po’ più mostri del giorno prima, sperando che quel giorno, magari, tocchi al fratello, o alla sorella. O al padre. E un mucchio di gente che in base al mostro del giorno, decide chi odiare, chi insultare, chi minacciare. Ecco. Se schifare profondamente questo meccanismo è difendere i Ciontoli, allora sì, difendo Ciontoli. Perché meritano di scontare la loro pena, ma non questo esilio penoso, così diverso da qualsiasi cosa che possa anche solo vagamente assomigliare all’ombra di una nuova esistenza.

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