«L’ho ucciso perché aveva un’aria felice. L’ho scelto perché appariva felice». Questo sarebbe il movente dell’omicidio di Stefano Leo.
A dirlo è il procuratore Paolo Borgna citando un brano del verbale di interrogatorio del fermo dell’assassino. «Un movente banale quanto terrificante» ha detto Borgna.
È la confessione di Said Machaouat, il 27enne che ieri si è consegnato ai carabinieri attribuendosi l’omicidio commesso a Torino in riva al Po il 23 febbraio. Said era andato in Marocco a gennaio, dopo essere stato ad Ibiza poi era tornato a gennaio a Torino.
Quella mattina del 23 febbraio ha deciso di uccidere qualcuno. Era in preda alla follia omicida. Ha comprato un set di coltelli. Ne ha tenuto uno solo, il più affilato, e si è sbarazzato degli altri.
«Volevo uccidere un ragazzo come me, sottrarlo alla sua famiglia e togliergli tutte le promesse di felicità».
Ecco cosa voleva fare Said. Poi è fuggito. Dormiva nei dormitori. Aveva un telefono cellulare che non usava da due anni. Ieri, dopo aver fatto tappa a Porta Susa, è passato vicino alla Questura.
Lì in quel momento ha deciso di costituirsi. «Avevo una voce dentro di me che mi diceva di uccidere ancora. Così mi sono costituito».