“Era il mio re”, Marika accoltellata dal padre nel sonno: il suo racconto

di admin

“Era il mio re”, Marika accoltellata dal padre nel sonno: il suo racconto

| sabato 22 Novembre 2014 - 19:40

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“Era il mio re”, Marika accoltellata dal padre nel sonno: il suo racconto

Marika è bellissima: somiglia a Belén, dicono pudicamente le infermiere. Il suo letto ha i piedi rivolti al corridoio, così che possano guardarla senza interruzioni. Nella stanza in penombra, la prima entrando, dopo un carrello di medicinali, lei è sola. I capelli sono scuri e raccolti in uno chignon. La schiena è poggiata a un cuscino, il capo è voltato a sinistra. Gli occhi sono sempre aperti. Da lunedì, quando ha ripreso conoscenza, Marika Russo, 14 anni, non dorme più. «Io ho paura». S’impone di star sveglia.

Suo padre Roberto, alle quattro di venerdì notte, con due coltelli da cucina ha tentato di ucciderla dopo aver ammazzato la sorellina Laura, 12 anni. Entrambe erano nel sonno. Marika si era svegliata, aveva urlato richiamando l’attenzione dei fratelli che avevano fermato il genitore, ed era corsa al piano di sopra, dove abitano gli zii. Aveva perso tre litri di sangue. Era arrivata qui in condizioni disperate. Nel reparto di rianimazione dell’ospedale Garibaldi di Catania, un luogo speciale, orgoglio siciliano e italiano, sono abituati ai lottatori: negli anni, il primario Sergio Pintaudi ha fatto nascere bimbe da mamme in coma. (Continua…)

Bimbe come Sofia Benedetta o come Rebecca Maria, che sorridono nelle fotografie alle pareti, nell’ufficio del dottore. Eppure, Marika Russo sta battendo tutti e tutte. Ci sono un’ammirazione e un’urgenza di protezione, nel personale del reparto, che impongono subito il mantenimento d’una distanza di rispetto. Marika è al primo piano della palazzina di rianimazione. All’esterno gocciolano le casse dei condizionatori. L’ingresso è sorvegliato. Nessun parente salirà, per adesso. Aspetteranno anche i carabinieri. C’è tempo. Deve essercene per forza. Quando ha parlato per la prima volta, Marika ha chiesto a Pintaudi di se stessa, usando la terza persona: «Dov’è Marika?». Pensava fosse morta, o forse voleva esserlo. Perché anche se ha già avuto e affrontato, da piccola, un tumore, Marika, quella notte, ha visto e ha sentito. Nessun altro se non lei potrà aiutare a capire quest’uomo, suo papà, che poi aveva anche tentato, invano, d’uccidersi, e che rimane piantonato. Giura di non ricordare d’esser diventato un mostro.

La casa di Roberto Russo, 47 anni, è in una palazzina a San Giovanni La Punta, mezz’ora di macchina dall’ospedale, ventimila abitanti sulla strada che sale verso l’Etna. A Russo le cose non giravano: tra cassintegrazione e lavoretti saltuari campava a fatica. In più, forse a causa di una storia con un’amante, il matrimonio aveva imboccato una brutta china. Litigi e allontanamenti. La moglie se ne stava in una casa di campagna, insieme alle figlie. Ma i due ancora non s’erano detti addio: non a caso le ragazzine avevano ampia possibilità di andare con papà. Come giovedì. Una pizza insieme, una breve passeggiata, infine tutti a riposare. Nel letto matrimoniale si erano sistemati in tre: Laura, Marika e il padre. Roberto Russo alle quattro di venerdì s’era svegliato, era andato al pc, si era seduto, aveva cercato qualcosa su internet, si era alzato, aveva preso i coltelli e aveva colpito le figlie. Sempre al torace. Tante, tante coltellate. (Continua…)

Con accanimento. Che cosa aveva cercato, in internet, Roberto Russo? Aveva chattato con donne conosciute e non conosciute come gli era già capitato? I carabinieri, guidati dal tenente Salvatore Mancuso, siciliano, 42 anni, stanno esaminando il contenuto del pc insieme al traffico telefonico; è lavoro di queste ore, la Compagnia di Gravina di Catania, che conduce le indagini, procede senza risparmio di energie. Queste sono terre di patriarchi di mafia e Mancuso ha avuto una lunga esperienza a Taurianova, in Calabria, paese di mattanze di ‘ndrangheta: ma un caso del genere lo tormenta e lo porta a improvvisi silenzi mentre parla. E non soltanto per esser stato uno dei primi sul luogo del delitto e aver fatto fatica, tanto sangue c’era, a riconoscere il viso d’una ragazzina, la povera Laura. Chiede di lei, chiede della sorella, Marika: «Vi prego, ditemi come sta». Nient’altro domanda e reclama. Non il cibo, che le viene somministrato in parte artificialmente; non dell’acqua; non di famigliari, non del padre. Una volta ha domandato della mamma, la quale intanto va ripetendo che mai, mai si sarebbe aspettata un epilogo del genere e difende il buon nome della famiglia. Possibile non ci fosse stato nessun segnale? Roberto Russo, che prima d’innescare la furia ha scritto un biglietto dove annunciava «Ci vedremo nell’aldilà», non ha precedenti. Nessun reato. Al momento, non risulta ci fossero episodi di violenze domestiche, di molestie sessuali, di persecuzioni: dai primi riscontri, dai primi colloqui con i due figli, che hanno 17 e 22 anni, nulla emerge.

Il corpo umano, spiega il dottor Pintaudi, 62 anni, innamorato di Catania, la sua città, nel caso di un’emorragia violenta va in affanno in ogni suo organo, tutti impegnati e disposti come sono a proteggere il più possibile il cervello. Il sangue di Marika, in aggiunta, è raro: zero negativo. Venerdì, il primario aveva lanciato un appello a donare plasma. All’appello avevano risposto in molti. «Mi hanno mandato fax dal Piemonte all’Egitto, e qui si sono presentati in 120 in poche ore: una cifra, mi creda, che non conto nemmeno in un anno» dice Pintaudi, un uomo con la suoneria del cellulare impostata sulla musica del film Il Gladiatore e impegnato, con sé e i collaboratori, a predicare l’umiltà. Tiene allertati nervi, intuizioni, muscoli. «Marika dice che di me si fida… Ce la faremo… Stiamo migliorando fisicamente, a breve potremmo sciogliere la prognosi riservata… Però certo: dal punto di vista psicologico gli interventi saranno delicati, dureranno, oscilleranno tra speranza e dolore». Martedì Marika ha chiesto per quale ragione fosse in ospedale. Il neuropsichiatra che la segue a sua volta le ha domandato quale fosse il suo parere al proposito. Allora Marika ha parlato. Nessuno, nel reparto di rianimazione, in caserma e in Procura, entra nei dettagli. Quel che si riesce a sapere è che ha raccontato delle coltellate, del padre, della corsa dagli zii, ferita, quasi senza sensi, col tormento d’aver abbandonato la sorellina minore. Le hanno detto, per adesso, che Laura riposa come lei, in una stanza dell’ospedale, e che forse anche Laura, come lei, a Pintaudi ha confidato d’avere un desiderio: «Dottore, voglio ascoltare la musica della radio». Quello d’ascoltare musica della radio. A Marika hanno portato un piccolo impianto, sintonizzato per scrupolo su emittenti che non abbiano giornali-radio. Le canzoni l’aiutano a star sveglia: il sonno porta la morte.

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